mercoledì 14 maggio 2014

DOMINO di Luigi Marrone

DOMINO di Luigi Marrone
(un racconto breve a difesa della dignità dei lavoratori).

Il buon viso a cattivo gioco, polverizzato ormai nei miasmi delle troppe, ripetute umiliazioni e delusioni e torti subiti e rospi ingoiati che sempre poi restano impuniti nel passato.
Per cui poteva capitargli come quel giorno, quando il potenziale futuro boss lo aveva accolto in una stanza, e durante il colloquio gli aveva domandato: “Ha già avuto modo di analizzare la nostra gestione? Una idea se l’è fatta?”.
Lui aveva annuito, aveva accennato alla eventuale mole di lavoro, alla gestione di un “certa complessità".
Ma il boss forse nervoso per i troppi colloqui quel giorno aveva sparato "Ma che gestione complessa! Non diciamo cazzate, su!".
A quel punto lui sempre sorrideva. Fissava negli occhi l’uomo che aveva di fronte, giusto qualche secondo. S’alzava quindi dalla sedia, fermo e risoluto, ma in un modo sereno, calmo, serafico.
"Grazie" esclamava.
“Buon lavoro” augurava.
Ed è chiaro che quelli restavano stupiti, torvi, spiazzati,
"Ma cosa fa?" chiedevano risentiti,
“Ma dove va?”.
E una volta c’era pure stato uno che gli aveva detto "Scusi, sa, forse siamo partiti col piede sbagliato…"
Ma lui ormai era già altrove. Prendeva e andava via, calmo e in pace, senza nulla spiegare.
"Quello che si permettono di dire la prima volta" - rifletteva sempre.
"È già tutto lì. È tutto quanto lì"

La libreria era arrivata qualche anno dopo.
Un vecchio sogno messo su dopo molti sacrifici, così quel giorno lui dietro al bancone fissava il monitor per informarsi sulle novità in uscita, mentre questa piccola ditta era venuta lì solo per installargli una porta di ferro nera, pesante, e c’era questo capetto a braccia conserte poggiato al muro ad osservare con occhi sfottitori i suoi due giovani operai -
"E datevi una mossa, deficienti!" diceva loro divertito.
“Proprio due imbecilli, siete" li attaccava.
E i due operai che sorreggevano la porta erano solo due giovani ragazzi piegati che sudano, si sforzano, non osano, non ribattono nulla lanciandosi occhiate silenziose come cani bastonati -
“E forza, su!” continuava il capetto.
“Muovetevi, stronzi!”.
E davvero non c’era alcun bisogno di dire quelle cose, mentre oltre le vetrine un sole acqueo inonda le chiome dei platani schiumanti d’un verde fluorescente, e i bambini e gli uomini e le madri passeggiano sull'acciottolato caldo -
"E su, coglioni! Forza, brutti…”
"Ok. Va bene così" aveva tagliato corto lui.
"Può lasciare tutto com’è, per me va bene così".
Ed è chiaro che al momento il capetto non capisce. Trasecola, si stacca dal muro, resta come interdetto in uno stupore spiazzato.
"Ma, ma…Ma adesso, come si fa..." recrimina spaesato.
“Non si può! C’è l’accordo!”.
"Lei non si preoccupi, le rimborso le spese che ha affrontato" aveva risposto lui.
"Lasci pure tutto così”.
E i due giovani operai con la porta di ferro sono ancora lì fermi, a occhi bassi, spaventati, pietrificati...
"State tranquilli” gli aveva detto lui rassicurante.
“Non è colpa vostra. La colpa è solo sua" aveva concluso, indicando col mento il capetto adirato.

Da dietro le vetrine aveva osservato i due ragazzi ricaricare gli attrezzi e risalire sul furgone.
Li aveva visti ripartire in un silenzio deferente, senza dirsi una parola, senza guardarsi.

"Per quel che potete, uno dopo l’altro" - aveva pregato osservandoli.
"Cadono tutti, se li spingete anche voi".