domenica 21 ottobre 2012

Marmaflash Zaro di Luigi Marrone


Marmaflash Zaro di Luigi Marrone

All’inizio Raimond non fu così sicuro vi fosse scritto “Zaro”.
Aveva trovato la porta dell’appartamento di Marcel aperta, aveva bussato più volte e più volte lo aveva chiamato. Non ricevendo alcuna risposta, alla fine era entrato.
Un foglio.

Sul tavolo del soggiorno.
Un foglio zeppo di frasi sul quale campeggiava quell’assurdo titolo: Marmaflash Zaro.
Era la scrittura di Marcel quella lì. L’avrebbe riconosciuta fra mille altre, da lontano. D’istinto cercò di convincersi che l’amico s’era sbagliato, che avesse voluto scrivere “Marmaflash Zero” piuttosto che “Zaro”. Il guaio però era che non aveva la più pallida idea riguardo al significato.
Ordinate in colonna, l’una sotto l’altra, le frasi in elenco si dilungavano a perdifiato.
“Vortica il pollo, veloce e poi piano. Dai colori della notte piovono dolci kayak”.
E più sotto:
“Regalami, o fato, omogeneizzati al canguro. Solo questo ti chiedo, in nome del re ”
E ancora:
“V’apro il mio chiostro, o miei alati cognati. Vi prego, vi supplico! Tuffatevi in me”
D’improvviso Raimond sentì qualcosa perforargli la calma. Fu come una bolla di paura apertasi in gola e nella pancia, che lentamente lo soffocava. Sollevò gli occhi dal foglio e prese a guardarsi attorno sconcertato. Fu a quel punto che avvertì l’orrore d’una certezza, come se un ingranaggio nel meccanismo della ragione gli si fosse inceppato: dopo tutti gli anni d’amicizia con lui, realizzò di non essersi mai reso conto di quanto Marcel fosse mentalmente deviato.
Marcel.
Il suo caro Marcel.
Il suo unico e migliore amico, Marcel Duvinàs.
L’amico con cui da bimbo stava giocando a campana, quando a un isolato di distanza il palazzo dei suoi genitori era esploso.
L’amico grazie al quale era riuscito a smettere d’aver terrore degli alberi, dopo quasi dieci anni d’ipnosi e analisi.
L’amico che proprio in quei giorni lo stava aiutando a re-incollare il cuore spezzato, dopo che quella schifosa di Luise lo aveva scaricato.
Marcel.
Il suo caro Marcel.
Il suo unico e migliore amico, Marcel Duvinàs.
Cominciò ad ansimare di brutto, Raimond. Presto s’accorse che la coscia destra gli aveva preso a tremare, le palpebre a sbattergli frenetiche come farfalle terrorizzate.
Sentì come se la realtà volesse scivolargli fuori dal corpo, la vita sgusciargli via da dentro.
Di colpo si ritrovò ad avvinghiare lo schienale di una sedia, strozzato da un terrore cieco. Artigliò poi i bordi del tavolo, raschiando a fondo il legno prima di raggiungere il carrello dov’era poggiata la tv. La sradicò di peso per trasportarla sino alla parete in fondo, dove la lasciò cadere per gettarsi sul frigorifero. Lo tirò dallo sportello e lo trascinò con sé fino alla stanza da letto, dove mollò la presa per tuffarsi a stringere forte il comodino. Pallido e senza fiato, Raimond si guardò attorno incredulo, sgomento, terrorizzato.
Poi, black out.
Al risveglio realizzò d’essere rannicchiato sotto il letto di Marcel, in posizione fetale. Trascorse alcuni minuti inerte, nel silenzio, ad osservare il pavimento sporco d’uova spaccate, pezzi di verdura tranciati e vetri frantumati. L’aria puzzava di circuiti bruciati.
Strisciò pian piano sino al tavolo del soggiorno, dove s’alzò con fatica per scrutare di nuovo il foglio, pregando iddio d’essersi solo imbattuto in un sogno, in una stupida allucinazione dello sguardo.
“Feodor Garcia III, la nuova vita di un formichiere sellato” lesse.
“Echi mortali nella palestra di Madre Fanny, un nano si tuffa nel cuoio” continuò.
“Ascensori vogliosi sul pianoforte di zia: ecco le nostre più amabili cagne”.
E più su, in cima al foglio, quel maledetto titolo bastardo: Marmaflash Zaro.
“NO, NO, CAZZO! NON PUO’ ESSERE ZARO! NON PUO’ ESSERE ZARO!“ urlò Raimond.
E prese a sbattere cazzotti sul tavolo, tirò calci alle pareti, rovesciò gli oggetti ringhiando e schiumando come un indemoniato. Si schiantò poi contro le mensole, prese a testate il parquet, gridò ferito dal rancore come un animale scannato.
Poi, di colpo, Raimond si bloccò.
Immobile, al centro della stanza, lo sguardo allucinato.
Avanzò dunque verso la finestra in fondo e senza emettere fiato la sfondò con un salto e si gettò di sotto, fuori dal palazzo di Marcel.
Uscì da dietro la porta del bagno lui, mano nella mano con Luise.
La prima cosa che fecero fu trascinare il frigo al suo posto, accertandosi che non fosse andato. Raccolsero la televisione e la portarono in fondo alla stanza, sul carrellino dov’era all’inizio poggiata. Presero poi a pulire il pavimento, raccogliendo i pezzi di vetro sparsi attorno. Li misero dentro una busta, con calma, uno dopo l’altro, facendo attenzione a non tagliarsi.
D’un tratto Marcel alzò gli occhi verso Luise che spazzava. Ammirò quel suo profilo delicato, i lunghi boccoli dorati, la dolce linea delle labbra…
Scosse il capo con un sorriso malsano.
“Cristo. Non credevo avrebbe funzionato” disse.
Fuori s’udivano le prime sirene, mentre i due continuavano a riordinare.
“E comunque era proprio Zaro, amico mio”, si ripeteva Marcel dentro.
“Era Zaro”…
--------------------------
RACCONTO CANDIDATO AL CONCORSO "Montesilvano scrive 2012,"

Nessun commento:

Posta un commento